L'amicizia, si sa, è un valore importante per tutti gli esseri sociali. Del resto siamo chi conosciamo, siamo le persone che siamo grazie al contributo di tante persone che ci sostengono e che ci apprezzano. Ma non è solo una questione di formazione del nostro carattere, le amicizie nascono per un bisogno profondo, istintivo: non vogliamo essere soli su questa terra, puro e semplice.
L'era di internet, e tutti gli strumenti che si porta dietro - social network, blog, pagine personali ecc. - teoricamente avrebbe dovuto assecondare questo nostro bisogno e fornirci più opzioni. Adesso possiamo ricollegarci ad amici del passato, approfondire conoscenze superficiali, ed espandere in modo esponenziale la nostra rete di amicizie attraversando oceani, confini politici e sociali..non è meraviglioso?
A quanto pare non tanto. Mi ha aperto gli occhi un recente incidente diplomatico su un noto social network. Premetto che non sono una maleducata. Lo so, tutti amano pensare il meglio di loro stessi, ma davvero, non lo dico solo io...lo dicono tanti dei miei amici in carne e ossa che sono affabile, diplomatica e anche troppo a volte. Per questo mi ha quasi fatto cadere dal divano un messaggio che mi chiedeva in modo secco e molto antipatico di rifiutare una richiesta di amicizia. Cito testualmente: "siccome non hai accettato la mia richiesta di amicizia e a me non interessa più, fammi un piacere, rifiutala altrimenti continuo a vedere le tue cose, ricevere tue notifiche e non mi va, grazie mille". A quanto pare avevo una richiesta di amicizia da una persona sconosciuta che avevo fatto attendere troppo a lungo. Ma veramente? E' questo che siamo diventati?
Ho riflettuto molto sull'argomento, avendo molto tempo a disposizione negli anni ho potuto apprezzare l'evoluzione delle mie amicizie anche grazie alla mia malattia. Come un deragliamento di un treno, gli effetti del quale sono inizialmente devastanti (pezzi che si perdono, danni a cose e persone circostanti), la CFS, una volta sgomberati i resti e spazzata via la polvere, si può apprezzare la reale forza del treno meravigliandosi di quei pezzi che sono sopravvissuti alla tragedia e sono rimasti attaccati.
Quando diventi malata la tua vita sociale non muore subito, anzi: all'inizio c'è un gran brusio di persone che ti chiamano e vogliono sapere come stai, cos'hai, quando torni al lavoro, quando si esce fuori a pranzo o fare shopping. Il problema, quando hai la CFS, è quando si fornisce loro la risposta. Se sei fortunata, ci sono molte domande che seguono, tutte orlate dal dubbio che s'insinua nelle voci dei tuoi interlocutori, per poi risolversi in un silenzio di comprensione e/o d'indifferenza. Se sei sfortunata, la gente inizia a staccarsi come le foglie dall'albero, piano, senza rumore.
Ci sono però delle armi che ho imparato ad usare e che hanno un effetto di saldatura su quei pochi pezzi rimasti e bisogna imparare il prima possibile ad usarle se non si vuole fare la fine dell'eremita. La prima cosa è l'informazione. Ovvio, penserete, ma è il modo di fornire queste informazioni che fa la differenza. Bisogna levarsi dalla testa di fare gli informatori scientifici, lasciando quella particolare forma di comunicazione ai medici, e iniziare a parlare non delle generalità della malattia, ma di come ci si sente, di come questa malattia ci sta sconvolgendo la vita. Non è facile dire "ho paura", "le cause della mia malattia non sono ben conosciute", "sono troppo stanca per farmi la doccia", ma bisogna trovare il modo di dirlo a chi ti è rimasto vicino, non dare mai per scontato che lo sappiano già.
La seconda arma non è tanto un'arma quanto l'approfittarsi di una condizione in cui ci troviamo. Di fatti, è come se qualcuno stesse controllando il DVD della nostra vita e avesse spinto il tasto "pausa" o l'abbia rallentato all'inverosimile. Quindi siamo fermi, a guardare il mondo che va avanti, i nostri amici che fanno carriera, le nostre amiche che allargano la famiglia, e noi a combattere con le nostre frustrazioni da soli in casa. Ma non deve essere necessariamente così. No.
Mi sono resa conto che, quando anch'io facevo parte di quel mondo che andava avanti avevo raramente tempo da dedicare ai miei amici. Non avevo tempo per capire a fondo i loro problemi, di dedicare loro tutta la mia attenzione, perché spesso le nostre conversazioni consistevano in 5 minuti rubati al telefono della mia scrivania mentre lavoravo durante l'ennesima pausa pranzo per un closing imminente, oppure in aperitivi in cui tutti sputavano i loro problemi senza davvero ascoltare l'altro. Ora la maggior parte delle mie amiche si trovano nella stessa barca, ma la cosa che mi conforta è che sanno che io a casa ci sono sempre e se hanno un problema, in fatti, sono la prima persona che chiamano.
Non ho sempre avuto la forza di stare ore al telefono, ma, se passavano a casa e accettavano di farsi il caffè da sole, avevo sempre le orecchie aperte per una crisi sentimentale e/o problemi con il capo e di solito grazie all'ascolto riuscivo anche a tirare fuori delle proposte sensate per risolvere oppure per calmarle. In un certo senso ascoltare i problemi degli altri mi distraeva dai miei, che tanto non si potevano risolvere, e mi permetteva di prendermi cura degli altri e sentirmi amata....Un po’ egoistico come ragionamento, ma ha funzionato. Adesso che sono migliorata un po’ e magari sono fuori casa, noto una certa delusione nella loro voce quando mi chiedono: ma dov'eri?
Sono molto grata per le mie amiche, sono state impagabili e fondamentali nel mio cammino verso un piano più alto di benessere interiore: mi hanno fatto capire il reale valore della parola amico. Sapete chi siete, e vi voglio bene.
E' la ricetta femminile che cura quasi tutti i mali del mondo, ma purtroppo non tutti, anche se internet mi dà una mano per togliermi qualche sfizio ogni tanto e un vestito nuovo mi fa ancora sorridere. Se non hai mai sentito parlare della stanchezza cronica o se sei una veterana come me e vuoi condividere anche la tua esperienza diretta sull'argomento, cerchiamo insieme la verità all'insegna della leggerezza e la femminilità senza aver paura di sembrare superficiali.
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giovedì 24 febbraio 2011
martedì 5 ottobre 2010
Malata...ma con stile
Mamma mia, che mattinata! Sapete, quando avevo 16/17 anni volevo fare la modella, ma la cosa non ha funzionato perchè volevano un peso inferiore ai 70 chili per 1 metro e 80 e sfidare le leggi della fisica (e del fisico) non era possibile, quindi ho lasciato perdere perchè amavo mangiare. La cosa mi è sempre rimasta un po indigesta perchè sognavo una vita tra fotografi, bei vestiti e mondanità, feste, riviste e quant'altro e pensavo sarebbe rimasto un sogno nel cassetto....E meno male, almeno così ho studiato e ho avuto delle esperienze professionali un attimino più formative...almeno fin quando non mi sono ammalata. Certo, adesso non scambierei il mio lavoro da traduttrice con nessuno.
Vantaggio di poter lavorare sdraiata in pigiama a parte, lo trovo stimolante e interessante perchè mi capita di tradurre di tutto, imparo moltissimo sul mondo e non mi annoio mai, neanche sul divano per ore. Ma questo non vuol dire che, quando una mia amica del cuore, Laura (giornalista), mi ha proposto di scrivere la mia storia per una nuova rivista di moda della Mondadori (TuStyle), con tanto di servizio fotografico, non sia stata entusiasta dell'occasione. Un'occasione d'oro per far conoscere la malattia al popolo femminile, per girare una foto della manifestazione ad un'altra redazione, e per renderla più personale - sotto forma di una di quelle storie della serie "donne forti che combattono con il sorriso", che piacciono tanto al pubblico e anche per levarmi questo sassolino dalla scarpa, perchè no?
E così stamattina mi sono risvegliata a casa dei miei genitori, dove sono cresciuta - un casale in campagna decisamente più adatto a ricevere un'ospite di questa portata e per spunti fotogenici rispetto al mio appartamentino anonimo piano terra - con una preoccupazione che non avevo assaporato da anni: cosa mi metto? Mi ero portata mezzo guardaroba dietro (tutti vestiti che non avevo indossato da anni) e attendevo con ansia la fotografa, Annette Schreyer (fotografa bravissima di fama mondiale), e la sua squadra, sperando che non rimanessero troppo delusi e che la truccatrice non si sarebbe arresa davanti alle mie spettacolari occhiaie.
Il citofono suona e io m'infilo un paio di pantaloni comodi ma eleganti con una maglietta per andare a ricevere Annette, la sua assistente, e la truccatrice. Gironzolano per casa cercando un angolo adatto, e io insisto molto sul fatto che una foto, per essere realistica, dovrebbe essere sul divano, insieme al mio computer portatile e al cane, dove passo l'80% del mio tempo nella vita reale. Accettano la mia proposta, anche perchè (ringraziando il cielo) il tempo fuori era peggiorato e l'unica opzione era di stare dentro casa. Tuttavia la mia mise non li convince molto e, analizzando con occhio esperto l'armadio, scelgono un abito che non è neanche mio. Un abitino corto elegante che mia sorella ha indossato per un matrimonio qualche settimana fa e che aveva lasciato a casa dei miei. Per miracolo, il vestito mi entra e, per doppio miracolo, riesco a trovare delle calze rimaste nella mia camera da ragazzina che non sono bucate. Nel giro di un'ora, mi ritrovo nella mia posizione di tutti i giorni: sdraiata sul divano con il portatile e il cane, ma truccata all'inverosimile, capelli (che di solito sono trasandati e raccolti con varie forcine a casaccio) arricciati sapientemente con il ferro, l'abitino corto e calze nere, e con le luci sparate addosso...così, con nonchalance, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Purtroppo, più in là con il servizio, il tempo è migliorato, e hanno insistito per fare alcuni scatti fuori in giardino. E' un bellissimo giardino, pieno di ulivi e quant'altro, ma mi ero già stancata a tenere tutte quelle posizioni "naturali" sul divano e quindi non riuscivo a reggere più di tanto le pose: "accovacciata insieme al cane" (sempre con il mini abito), "passeggiatina sotto l'ulivo", quindi abbiamo tagliato corto. Avrei tanto voluto avere uno scatto con Alessandro, ma purtroppo stamattina doveva lavorare al bar per un rinfresco e mi sono dovuta accontentare della compagnia di Tito e Rocco (il cane dei miei), come accessori sul set.
Annette (adesso io e lei ci diamo del tu) è una vera artista, sono sicura che le foto saranno spettacolari, ma mi chiedo ora, risdraiata sul mio divano in tuta condividendo quest'esperienza singolare con voi, se tutto questo servirà a qualcosa. Spero di sì: così forse anche le ragazze normali, le casalinghe o le clienti annoiate che leggono i settimanali dal parrucchiere, le appassionate di moda, o comunque persone che non sono solite leggere le pagine dedicate alla salute sui giornali, cominceranno ad interessarsi dell'argomento... ma non rinnego la parte narcisistica della mia personalità che ha solo voglia di vedere tutti gli scatti raccolti insieme, per avere finalmente il mio "book fotografico", che sognavo tanto da ragazzina..
Vantaggio di poter lavorare sdraiata in pigiama a parte, lo trovo stimolante e interessante perchè mi capita di tradurre di tutto, imparo moltissimo sul mondo e non mi annoio mai, neanche sul divano per ore. Ma questo non vuol dire che, quando una mia amica del cuore, Laura (giornalista), mi ha proposto di scrivere la mia storia per una nuova rivista di moda della Mondadori (TuStyle), con tanto di servizio fotografico, non sia stata entusiasta dell'occasione. Un'occasione d'oro per far conoscere la malattia al popolo femminile, per girare una foto della manifestazione ad un'altra redazione, e per renderla più personale - sotto forma di una di quelle storie della serie "donne forti che combattono con il sorriso", che piacciono tanto al pubblico e anche per levarmi questo sassolino dalla scarpa, perchè no?
E così stamattina mi sono risvegliata a casa dei miei genitori, dove sono cresciuta - un casale in campagna decisamente più adatto a ricevere un'ospite di questa portata e per spunti fotogenici rispetto al mio appartamentino anonimo piano terra - con una preoccupazione che non avevo assaporato da anni: cosa mi metto? Mi ero portata mezzo guardaroba dietro (tutti vestiti che non avevo indossato da anni) e attendevo con ansia la fotografa, Annette Schreyer (fotografa bravissima di fama mondiale), e la sua squadra, sperando che non rimanessero troppo delusi e che la truccatrice non si sarebbe arresa davanti alle mie spettacolari occhiaie.
Il citofono suona e io m'infilo un paio di pantaloni comodi ma eleganti con una maglietta per andare a ricevere Annette, la sua assistente, e la truccatrice. Gironzolano per casa cercando un angolo adatto, e io insisto molto sul fatto che una foto, per essere realistica, dovrebbe essere sul divano, insieme al mio computer portatile e al cane, dove passo l'80% del mio tempo nella vita reale. Accettano la mia proposta, anche perchè (ringraziando il cielo) il tempo fuori era peggiorato e l'unica opzione era di stare dentro casa. Tuttavia la mia mise non li convince molto e, analizzando con occhio esperto l'armadio, scelgono un abito che non è neanche mio. Un abitino corto elegante che mia sorella ha indossato per un matrimonio qualche settimana fa e che aveva lasciato a casa dei miei. Per miracolo, il vestito mi entra e, per doppio miracolo, riesco a trovare delle calze rimaste nella mia camera da ragazzina che non sono bucate. Nel giro di un'ora, mi ritrovo nella mia posizione di tutti i giorni: sdraiata sul divano con il portatile e il cane, ma truccata all'inverosimile, capelli (che di solito sono trasandati e raccolti con varie forcine a casaccio) arricciati sapientemente con il ferro, l'abitino corto e calze nere, e con le luci sparate addosso...così, con nonchalance, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Purtroppo, più in là con il servizio, il tempo è migliorato, e hanno insistito per fare alcuni scatti fuori in giardino. E' un bellissimo giardino, pieno di ulivi e quant'altro, ma mi ero già stancata a tenere tutte quelle posizioni "naturali" sul divano e quindi non riuscivo a reggere più di tanto le pose: "accovacciata insieme al cane" (sempre con il mini abito), "passeggiatina sotto l'ulivo", quindi abbiamo tagliato corto. Avrei tanto voluto avere uno scatto con Alessandro, ma purtroppo stamattina doveva lavorare al bar per un rinfresco e mi sono dovuta accontentare della compagnia di Tito e Rocco (il cane dei miei), come accessori sul set.
Annette (adesso io e lei ci diamo del tu) è una vera artista, sono sicura che le foto saranno spettacolari, ma mi chiedo ora, risdraiata sul mio divano in tuta condividendo quest'esperienza singolare con voi, se tutto questo servirà a qualcosa. Spero di sì: così forse anche le ragazze normali, le casalinghe o le clienti annoiate che leggono i settimanali dal parrucchiere, le appassionate di moda, o comunque persone che non sono solite leggere le pagine dedicate alla salute sui giornali, cominceranno ad interessarsi dell'argomento... ma non rinnego la parte narcisistica della mia personalità che ha solo voglia di vedere tutti gli scatti raccolti insieme, per avere finalmente il mio "book fotografico", che sognavo tanto da ragazzina..
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domenica 26 settembre 2010
C'è Terapia e Terapia
Come forse saprete, io tendo sempre a fare buon viso a cattivo gioco, e le mie tattiche che adotto per riderci sopra (forse ve ne sarete accorti leggendomi) nascondono un disagio che ho deciso di affrontare. L'ho deciso recentemente, a seguito di un colloquio con uno psichiatra che, per mia fortuna, non è tra i non credenti nella CFS, e non ha neanche la presunzione di molti suoi colleghi di dettare sentenze insensate e a prescrivere farmaci a raffica: un agnostico intelligente insomma. E' stato lui a dirmi per primo che non stavo avendo un esaurimento nervoso quando, spinta dalla disperazione, mi sono recata da lui quasi 4 anni fa per cercare un motivo per i miei sintomi, ed è a lui che mi sono rivolta la settimana scorsa, dopo tutto questo tempo, perchè l'origine strana di questi nuovi sintomi aveva anche bisogno della valutazione di una persona fidata. Arrivata con l'obbiettivo di capire se questi sintomi venissero dalla mia testa oppure dalla malattia, sono andata via con un'idea chiara: Non importa.
Non importa da dove arrivano questi sintomi, importa solo che io riesca a vivere bene la situazione. La comparsa dei nuovi arrivati, di origine ancora oscura (sui quali indagherò con tutte le analisi del caso) - se non altro è stata propizia per questo. Ora ho preso coscienza del fatto di vivere questa costante tensione tra il mio modo di essere e il raggio d'azione ristretto imposto dalla mia gabbia invisibile e in costante variazione di misura - costruita ad arte dai sintomi della CFS - è contro la mia natura (e forse contro la natura umana tout-court), e che ogni volta che non esco perchè voglio evitare peggioramenti, e ogni volta che sono costretta a tornare a letto, faccio bene ai miei sintomi, ma faccio del male a ME STESSA. La mente non ama fermarsi ai limiti del corpo, e quando è costretta a farlo inevitabilmente si ribella. Questa ribellione l'ho repressa per moltissimo tempo, adottando le mie tattiche raffinate di evasione, e non ho intenzione di permetterle di aggiungere un'altra sbarra alla gabbia nella quale sono costretta già a vivere. Non solo: dalla diagnosi in poi si vive in una costante incertezza che alla lunga diventa logorante.
Ho una nuova arma contro la CFS: un supporto che aiuterà a gestire la tristezza che provo nelle mie rinuncie, la paura che provo ogni volta che arriva il dolore, l'affanno e la nausea, la nostalgia che m'invade ogni volta che penso al passato e al futuro che volevo.
Rafforzata da questa convinzione, sono tornata sul mio divano per condividere il mio pensiero con voi, e per assicurarvi anche che questo non toglierà nulla alle mie "terapie", che sono ben più convenzionali e, se vogliamo, fatte in casa. Spazio tra bagni caldi, massaggi, lavoro, la pet-therapy, la cinema therapy, la gastro therapy (cioccolatoso preferibilmente), la shopping therapy (rigorosamente on-line e se non è scontato non siamo interessate), l'amica -therapy e naturalmente la mitica coccola-therapy!!
Voi cosa fate per gestire le gabbie invisibili? La mia è la CFS, ma ce ne sono di tanti tipi e forme e l'arte di viverle è un dono...Se volete condividire il vostro modo di vivere i vostri limiti scrivetemelo, così forse imparo qualcosa.
Non importa da dove arrivano questi sintomi, importa solo che io riesca a vivere bene la situazione. La comparsa dei nuovi arrivati, di origine ancora oscura (sui quali indagherò con tutte le analisi del caso) - se non altro è stata propizia per questo. Ora ho preso coscienza del fatto di vivere questa costante tensione tra il mio modo di essere e il raggio d'azione ristretto imposto dalla mia gabbia invisibile e in costante variazione di misura - costruita ad arte dai sintomi della CFS - è contro la mia natura (e forse contro la natura umana tout-court), e che ogni volta che non esco perchè voglio evitare peggioramenti, e ogni volta che sono costretta a tornare a letto, faccio bene ai miei sintomi, ma faccio del male a ME STESSA. La mente non ama fermarsi ai limiti del corpo, e quando è costretta a farlo inevitabilmente si ribella. Questa ribellione l'ho repressa per moltissimo tempo, adottando le mie tattiche raffinate di evasione, e non ho intenzione di permetterle di aggiungere un'altra sbarra alla gabbia nella quale sono costretta già a vivere. Non solo: dalla diagnosi in poi si vive in una costante incertezza che alla lunga diventa logorante.
Ho una nuova arma contro la CFS: un supporto che aiuterà a gestire la tristezza che provo nelle mie rinuncie, la paura che provo ogni volta che arriva il dolore, l'affanno e la nausea, la nostalgia che m'invade ogni volta che penso al passato e al futuro che volevo.
Rafforzata da questa convinzione, sono tornata sul mio divano per condividere il mio pensiero con voi, e per assicurarvi anche che questo non toglierà nulla alle mie "terapie", che sono ben più convenzionali e, se vogliamo, fatte in casa. Spazio tra bagni caldi, massaggi, lavoro, la pet-therapy, la cinema therapy, la gastro therapy (cioccolatoso preferibilmente), la shopping therapy (rigorosamente on-line e se non è scontato non siamo interessate), l'amica -therapy e naturalmente la mitica coccola-therapy!!
Voi cosa fate per gestire le gabbie invisibili? La mia è la CFS, ma ce ne sono di tanti tipi e forme e l'arte di viverle è un dono...Se volete condividire il vostro modo di vivere i vostri limiti scrivetemelo, così forse imparo qualcosa.
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